La reciprocità delle condotte moleste esclude il reato di molestie ex art. 660 c.p.….ma non quello di stalking?

Con la recente sentenza n. 34096/2017 del 12.07.2017 la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento secondo cui “non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone previsto dall’art. 660 cod. pen. allorché vi sia reciprocità o ritorsione delle molestie, in quanto in tal caso non ricorre la condotta tipica descritta dalla norma, e cioè la sua connotazione per petulanza o altro biasimevole motivo, cui è subordinata l’illiceità penale del fatto” (Sez. 1, n. 23262 del 23/02/2016, RV. 267221; conforme, tra le tante, Sez. 1, n. 26303 del 06/05/2004, RV. 228207 ).”

Il caso deciso dalla suprema Corte trae origine dal processo per stalking inizialmente celebrato a carico di un uomo accusato di “perseguitare” la ex moglie attraverso un ingente mole di telefonate. Sennonché, già nel corso del dibattimento di primo grado, l’acquisizione dei tabulati telefonici aveva evidenziato l’esistenza di numerose chiamate alle utenze telefoniche dell’imputato anche da parte della stessa ex moglie, il che poneva non pochi dubbi sull’effettività dello stato di timore che le condotte asseritamente persecutorie dell’uomo avrebbero ingenerato nella donna. Riqualificato, dunque, il fatto ai sensi della meno grave ipotesi di reato di molestie ex art. 660 c.p. l’uomo era stato condannato alla pena di 400 Euro di ammenda oltre al risarcimento del danno nei confronti della ex moglie, costituitasi parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Con la decisione in commento la Cassazione ha, da ultimo, annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

È legittimo, quindi, chiedersi, alla luce di questa decisione, se la reciprocità delle condotte moleste sia di per sé suscettibile di escludere anche la configurabilità del delitto di atti persecutori contemplato dall’art. 612 bis c.p.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione fornisce tradizionalmente una risposta negativa a questa domanda sul presupposto che l’immagine “in cui la vittima è a tal punto prostrata dalla campagna persecutoria da non essere in grado di reagire – è un mero stereotipo che non ha addentellato alcuno nel testo normativo” (Cass. 51718/14). Secondo la Suprema Corte, infatti, “la reciprocità dei comportamenti molesti non è di per sé idonea ad escludere la configurabilità del reato (di stalking ndr), o ad incidere significativamente sull’attendibilità della vittima, piuttosto incombendo sul giudice, in tali ipotesi, un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza -nella specie a livello di gravità indiziaria dell’evento di danno” (Cass. 45648/2013).

Un orientamento, questo, che sembra, però, essere messo in discussione proprio dalla vicenda processuale in commento, nel quale la dimostrazione in giudizio della reciprocità delle condotte moleste ha, di fatto, permesso di escludere dapprima la configurabilità dello stalking e, successivamente, anche del reato di molestie.

 

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