PROTEZIONE INTERNAZIONALE: DOVERE DEL GIUDICE DI AGGIORNARE D’UFFICIO LE INFORMAZIONI RELATIVE AL PAESE DI PROVENIENZA DEL RICHIEDENTE CHE SIANO POSTE A FONDAMENTO DELLA DECISIONE

Con la recente ordinanza n. 8375/22 del 15.03.2022 la sesta sezione civile della Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui nei giudizi di protezione internazionale, al di là del dovere del ricorrente allegare e dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari, la valutazione delle condizioni socio-politiche del paese d’origine del richiedente deve avvenire tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione.

In particolare, osserva sempre la Cassazione, il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche essendo, invece, tenuto ad integrare egli stesso le informazioni disponibili con tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente che siano necessari ai fini della definizione della domanda di protezione internazionale avendo cura poi di indicare, nel provvedimento decisorio, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento (Cass. 11 dicembre 2020, n. 28349).

Una decisione, quella in commento, che riafferma l’obbligo di cooperazione istruttoria gravante anche in capo al Giudice (oltre che alle Commissioni territoriali) in virtù dell’art. 3 del d.lgs. n. 251 del 2007, e degli artt. 8 e 27, comma 1 bis, del d.lgs. n. 25 del 2008.

MINORI STRANIERI: IN ARRIVO NUOVE MODALITA’ DI ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA

Come molti già sapranno attualmente i minori stranieri nati in Italia possono acquisire la cittadinanza italiana soltanto col raggiungimento della maggiore età, secondo quanto previsto dall’art. 4 comma 2 L. n. 91/92.

Qualche giorno fa, tuttavia, la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati ha adottato il testo base di una nuova proposta di legge che, se approvata in via definitiva dal Parlamento, introdurrà delle importanti novità.

Nella proposta di legge viene, infatti, previsto che il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età acquisterà la cittadinanza italiana a condizione che:

  1. abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e
  2. che in Italia abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale.

Una volta soddisfatti i requisiti previsti dalla nuova legge, la cittadinanza potrà essere acquistata tramite una semplice dichiarazione di volontà che potrà essere presentata dai genitori del minore all’ufficiale dello Stato civile del comune di residenza entro la data del compimento della maggiore età. Ove i genitori non dovessero attivarsi, lo stesso interessato potrà presentare la dichiarazione entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

L’approvazione di questa legge avrà delle importanti ripercussioni non soltanto per i minori interessati ma anche per le loro famiglie, dal momento in cui i relativi membri acquisterebbero lo status di familiari di cittadino italiano con tutte le conseguenze che ne deriverebbero sotto il profilo legale.  

SANATORIA 2020: IL PUNTO SULLE PRINCIPALI SENTENZE AMMINISTRATIVE

Sono passati ormai quasi due anni dalla sanatoria 2020 e, secondo alcune fonti, l’Amministrazione ha provveduto ad esaminare soltanto una minima parte delle domande di emersione presentate (talvolta il 13% in alcune Prefetture), accumulando notevoli ritardi.

Volendo, però, fare il punto della situazione, dall’analisi delle sentenze ad oggi disponibili emerge che uno degli aspetti più combattuti nei giudizi dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali riguarda la prova della presenza dello straniero sul territorio italiano prima dell’8 marzo 2020. Trattasi di un requisito fondamentale ai fini dell’emersione secondo quanto previsto dall’art. 103 DL 34/20.

L’orientamento giurisprudenziale che si è formato sul punto sembra ritenere che i mezzi per fornire la prova della presenza dello straniero
in Italia anteriormente a tale data siano elencati direttamente e tassativamente dall’art. 103 DL 34/20, con l’effetto di sottrarre ai privati la possibilità di fare ricorso ad altri mezzi di prova.

In quest’ottica sono state ritenute inidonee a provare la presenza dello straniero le fotografie geolocalizzate che lo ritraggono durante un battesimo in Italia, nonché le dichiarazioni dei presenti, inclusa quella del sacerdote officiante (cfr. TAR Lombardia Brescia, n. 4/2022). Allo stesso modo è stata ritenuta inidonea la dichiarazione unilaterale del datore di lavoro ( TAR Emilia Romagna n. 1031/2021 ) come pure quella di un Ministro di Culto (TAR LAzio n. 2058/2021; seppur con riferimento alla sanatoria 2012).

Più controversa risulta invece la possibilità di provare il requisito in esame per il tramite della titolarità di schede telefoniche o contratti con operatori italiani. In tali casi, infatti, alcune sentenze dei giudici amministrativi (es. Tar Umbria n. 53/2022 e Tar Umbria n.773/2021), muovendo dal presupposto che il Ministero dell’Interno, tramite la circolare del 30.05.2020 e le FAQ pubblicate sul proprio sito, ha espressamente richiamato tali documenti, hanno ritenuto sussistere un vero e proprio “aggravio dell’onere motivazionale” a carico dell’Amministrazione che intenda discostarsi da tali indicazioni ministeriali.

In conclusione, le pronunce ad oggi disponibili attestano la tendenza, da parte dei giudici amministrativi a valutare con particolare rigore la prova della presenza dello straniero in Italia in data anteriore all’8 marzo 2020.

UNIONE EUROPEA: RICONOSCIUTA LA PROTEZIONE TEMPORANEA AI RIFUGIATI UCRAINI

Lo scorso 4 marzo 2022 Il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la decisione di esecuzione UE 2022/382.  

Con questa decisione l’Unione Europea prende atto che, a causa dell’attuale situazione di conflitto, il numero di rifugiati provenienti dall’Ucraina potrebbe arrivare a toccare quota 4 milioni.  Per questo  motivo il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso di riconoscere ai rifugiati provenienti dall’Ucraina una protezione temporanea della durata di un anno suscettibile di essere rinnovata fino ad un ulteriore anno.

E’ importante osservare che la protezione temporanea viene accordata non soltanto ai cittadini ucraini che risiedevano in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 ma anche ai cittadini di paesi terzi che in Ucraina beneficiavano dello status di rifugiato o di altra protezione equivalente o che erano titolari di un regolare permesso di soggiorno permanente rilasciato in base al diritto ucraino. Inoltre, sempre in base alla decisione in commento, detta protezione viene riconosciuta anche ai familiari degli aventi diritto.

Giova, infine, sottolineare che l’Ucraina già rientrava nell’elenco dei paesi esentati dall’obbligo di visto per i soggiorni di durata inferiore ai 90 giorni di cui all’allegato II del Regolamento 2018/1806. Questo significa che i rifugiati provenienti da tale Paese, una volta entrati nel territorio dell’Unione Europea, potranno circolare liberamente e scegliere lo Stato in cui intendono godere dei diritti connessi alla protezione temporanea e raggiungere eventuali altri familiari o amici ovunque si trovino sul territorio dell’Unione Europea.

OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE: NECESSARIA LA PROVA CHE LE OFFESE SIANO STATE PROFERITE ALLA PRESENZA DI PIU’ PERSONE

Con la sentenza 29406/18 del 6.06.2018 la Corte di Cassazione è tornata sul tema dell’oltraggio a pubblico ufficiale ritenendo che ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 341 bis c.p. “è necessaria la prova della presenza di più persone e, solo ove risulti accertata tale circostanza, sarà sufficiente a far ritenere integrato il reato la mera possibilità della percezione dell’offesa da parte dei presenti”.

La vicenda trae origine dalle offese proferite da un cittadino nei confronti di due agenti di pg dapprima all’interno di un parcheggio comunale e, successivamente, all’interno del Comando.

La Corte d’Appello di Napoli aveva, infatti, affermato la penale responsabilità dell’imputato ritenendo che, poiché il fatto era avvenuto sulla pubblica via o, comunque, in luogo pubblico, le offese non potevano non essere state percepite anche da terze persone.

La Suprema Corte, dal canto suo, nel censurare il ragionamento della Corte territoriale, rileva come la presenza di più persone sia una circostanza che deve formare oggetto di prova specifica, non potendosi fare ricorso a valutazioni presuntive. Soltanto ove risulti provata tale circostanza, potrà allora ritenersi configurabile il reato sulla scorta della mera possibilità di percezione dell’offesa da parte dei soggetti eventualmente presenti.

CORONAVIRUS: MODULO DI AUTOCERTIFICAZIONE E REATO DI FALSE DICHIARAZIONI A PUBBLICO UFFICIALE (ART. 495 C.P.).

Come noto, il nuovo modulo dell’autocertificazione è stato integrato con il richiamo all’art. 495 c.p. che punisce con la reclusione da uno a sei anni la condotta di  “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”

Per come è stato impostato il modulo di autocertificazione la sanzione sembrerebbe applicarsi a tutte le dichiarazioni mendaci eventualmente contenute nel modulo, ivi compresa la motivazione dello spostamento laddove dovesse risultare falsa. Ma è davvero così?

Una più attenta analisi della norma sembrerebbe tuttavia escluderlo.

Nella nozione di qualità personali, cui fa riferimento l’art. 495, rientrano, oltre all’identità e allo stato civile, anche altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali, ad es., il luogo di residenza, la professione ecc. Restano, invece, fuori dalla tutela penale le richieste dell’Autorità su qualità squisitamente personali non giustificate da esigenze di identificazione, ma rivolte ad altri fini. E’ stato ritenuto, ad esempio, che non integra il reato in parola la condotta dell’automobilista che, pur non avendo mai conseguito l’abilitazione alla guida, dichiari falsamente alla Polizia Stradale di esserne munito ma di esserne momentaneamente sprovvisto (C., Sez. V, 15.11.2012-28.1.2013, n. 4243).  Come pure non integra il reato in esame la condotta di colui che dichiari falsamente alla polizia stradale di avere una regolare polizza assicurativa del proprio mezzo (C., Sez. V, 19.1.2016, n. 9195).

In altri termini, alla luce della casistica sino ad oggi esistente, sembrerebbe che soltanto le dichiarazioni mendaci circa l’identità o le altre qualità personali che valgono ad identificare la persona potrà comportare una responsabilità penale ai sensi dell’art. 495 c.p.. Contrariamente, invece, eventuali dichiarazioni mendaci circa le ragioni dello spostamento (comprovati motivi di lavoro, di, salute, di necessità, come pure l’indicazione del tragitto),  potrebbero al più far scattare l’applicazione dell’art. 650 c.p., ma non il più grave reato di cui all’art. 495 c.p.

In ogni caso, sarà interessante vedere la casistica giurisprudenziale che si formerà sulla fattispecie nei prossimi mesi, in considerazione delle numerose denunce effettuate dalle Forze dell’Ordine negli ultimi giorni.

 

 

 

EMERGENZA CORONAVIRUS: ATTENZIONE AI FALSI AUDIO SU WHATSAPP

In questi giorni circolano diversi audio sull’applicazione Whatsapp in cui vengono date notizie non corrette in merito alle sanzioni previste dall’art. 650 c.p. che notoriamente prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro per chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità, in questo caso le disposizioni adottate dal Governo per il contenimento del coronavirus.

In uno di questi audio si afferma che chi viene trovato senza l’autocertificazione in sede di controllo da parte delle Forze dell’Ordine viene automaticamente sanzionato con l’ammenda di 206 euro che, se pagata subito, viene iscritta nella fedina penale trasformando il malcapitato in un pregiudicato.

Orbene la notizia è sicuramente falsa. In primo luogo la denuncia ex art. 650 c.p. non consegue al mero fatto di essere sprovvisti dell’autocertificazione (che in viene fornita anche dalle Forze dell’Ordine al momento del controllo), ma al fatto di violare le disposizioni del decreto effettuando uno spostamento al di fuori dai casi consentiti dalla legge, ossia per recarsi al lavoro, per necessità o per motivi di salute.

In secondo luogo, l’ammenda è una sanzione penale che può essere irrogata soltanto da un Giudice all’esito di un procedimento penale e non dalle Forze dell’Ordine. In caso di denuncia ai sensi dell’art. 650 c.p. gli operanti si limitano ad effettuare l’identificazione e l’elezione di domicilio all’indagato e a denunciarlo all’Autorità Giudiziaria. Soltanto all’esito del procedimento penale viene, eventualmente, irrogata la sanzione prevista dal codice penale.

Una cosa è certa. Le Forze dell’Ordine stanno effettuando moltissimi controlli a tappeto volti a garantire il rispetto delle misure di contenimento adottate dal Governo. Secondo il sito del Ministero dell’Interno nella sola giornata del 16 marzo 2020 sono stati denunciati 7.890 cittadini per il reato previsto dall’art. 650 c.p. e sono stati sospesi 22 esercizi commerciali.  Salgono dunque a ben 35.506 le persone fino ad oggi denunciate ai sensi dell’art. 650 c.p. per violazione delle misure adottate dal Governo.

La responsabilità del medico del pronto soccorso sussiste anche a seguito di cambio turno senza passaggio di consegne formale

Secondo costante giurisprudenza il medico del pronto soccorso è titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti. Ciò sta a significare che egli deve attivarsi per informarsi sulle condizioni di salute dei pazienti che ha in carico e delle cure che necessitano o quantomeno a consultare la cartella clinica, anche nell’ipotesi in cui sia avvenuto un cambio turno senza passaggio formale di consegne tra medici.

È quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 44622/2017 del 27.09.2017 che ha confermato la condanna per omicidio colposo di una dottoressa del pronto soccorso in un caso riguardante il decesso di un uomo per shock emorragico dovuto all’ingestione durante il pasto di un osso di pollo.

Dal processo era, infatti, emerso che l’uomo aveva fatto ingresso al pronto soccorso lamentando un forte dolore allo sterno a seguito del pasto ed aveva informato i medici che durante il pranzo aveva ingerito un osso di pollo. Le linee guida prevedono in tali casi che il paziente venga sottoposto prima a una radiografia del torace e ad una radiografia dell’addome e, successivamente, ad un esame endoscopico onde rilevare la presenza del corpo estraneo.

Il paziente veniva inizialmente sottoposto alle radiografie previste dalle linee guida da parte dei medici che lo avevano preso in carico, le quali davano esito negativo. Successivamente, un’altra dottoressa, subentrata nel turno della mezzanotte, dimetteva il paziente refertando un “dolore toracico atipico”, raccomandandogli di far controllare la pressione arteriosa ed omettendo, tuttavia, di sottoporlo ad esame endoscopico.

Il paziente moriva dopo 5 giorni a causa dello shock emorragico provocato dalla fistolarizzazione dell’aorta e del conseguente shock emorragico provocato dall’osso di pollo precedentemente ingerito.

La disciplina del consenso informato nella nuova legge sul testamento biologico

Lo scorso dicembre è entrata in vigore la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, meglio nota come legge sul testamento biologico.

Con tale legge viene assicurata una tutela ampia del consenso informato stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Viene, inoltre, promossa e valorizzata la relazione tra paziente e medico, relazione in cui vengono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i famigliari o i conviventi e i partners dell’unione civile o ancora una persona di fiducia del paziente medesimo. Una novità, questa, che recepisce anche a livello normativo le esigenze derivanti dal mutato contesto sociale e familiare italiano.

La legge stabilisce che ogni persona ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo aggiornato e a lei comprensibile riguardo alle diagnosi alle prognosi ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

È importante sottolineare che, ai sensi della legge in commento, nella nozione di trattamento sanitario vengono per la prima volta ricomprese espressamente anche l’alimentazione e l’idratazione artificiale tramite dispositivo medico. Questa legge interviene, dunque, fermamente nel dibattito che aveva interessato i casi Englaro e Welby, in cui molti la posizione di molti tra coloro che si dicevano contrari a staccare i macchinari faceva leva sull’argomento per cui alimentazione artificiale non poteva considerarsi un trattamento sanitario.

Da ultimo, la nuova legge impone al medico di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciarvi e, in conseguenza di ciò, il medico viene esentato da ogni forma di responsabilità civile o penale.

Nelle situazioni di emergenza e di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

Questa legge marca il definitivo tramonto della concezione paternalistica del rapporto paziente- medico, che vedeva il paziente affidarsi quasi ciecamente alle cure e alle scelte del medico, e segna dunque il passaggio definitivo ad una relazione paritaria fondata sulla fiducia e sul consenso informato.

Nuove forme di protezione per gli orfani di crimini domestici

Lo scorso 16 febbraio 2018, sulla scia di un allarmante aumento di efferati omicidi in ambito familiare, è entrata in vigore la legge n. 4/2018 che ha introdotto diverse nuove disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici.

In primo luogo è stata introdotta la tutela legale gratuita da parte dello Stato, mediante l’estensione delle norme sul gratuito patrocinio in favore sia dei figli minori che di quelli maggiorenni non economicamente autosufficienti, che siano rimasti orfani di un genitore a seguito dell’omicidio commesso in danno dello stesso da parte del coniuge, ancorché separato o divorziato o dal convivente.  L’ammissione al gratuito patrocinio avviene anche in deroga ai limiti di reddito e si applica a tutti i procedimenti penali o civili derivanti dal reato, compresa l’esecuzione forzata.

Viene altresì modificato il codice di procedura penale affinché il giudice, ove si proceda per il reato di omicidio del genitore, rilevata la presenza di figli della vittima che siano minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti costituiti parte civile nel processo penale a carico del genitore o del convivente omicida, conceda loro, anche d’ufficio, una provvisionale pari al 50% del danno che si presume possa essere liquidato in sede civile.

Tra le altre misure in favore degli orfani di crimini domestici viene prevista un’assistenza gratuita di tipo medico-psicologico a cura del SSN, per tutto il tempo occorrente al pieno recupero del loro equilibrio psicologico, con l’esenzione dalla relativa spesa sanitaria e farmaceutica, nonché l’erogazione di borse di studio da parte del Fondo di Rotazione per la Solidarietà alla Vittime di Reati di tipo mafioso, ivi compresi altri finanziamenti per interventi di tipo formativo o di inserimento lavorativo.

Degno di nota è, infine, il diritto, degli orfani di chiedere il cambio del proprio cognome qualora esso coincida con quello del genitore condannato in via definitiva.