EMERGENZA CORONAVIRUS: ATTENZIONE AI FALSI AUDIO SU WHATSAPP

In questi giorni circolano diversi audio sull’applicazione Whatsapp in cui vengono date notizie non corrette in merito alle sanzioni previste dall’art. 650 c.p. che notoriamente prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro per chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità, in questo caso le disposizioni adottate dal Governo per il contenimento del coronavirus.

In uno di questi audio si afferma che chi viene trovato senza l’autocertificazione in sede di controllo da parte delle Forze dell’Ordine viene automaticamente sanzionato con l’ammenda di 206 euro che, se pagata subito, viene iscritta nella fedina penale trasformando il malcapitato in un pregiudicato.

Orbene la notizia è sicuramente falsa. In primo luogo la denuncia ex art. 650 c.p. non consegue al mero fatto di essere sprovvisti dell’autocertificazione (che in viene fornita anche dalle Forze dell’Ordine al momento del controllo), ma al fatto di violare le disposizioni del decreto effettuando uno spostamento al di fuori dai casi consentiti dalla legge, ossia per recarsi al lavoro, per necessità o per motivi di salute.

In secondo luogo, l’ammenda è una sanzione penale che può essere irrogata soltanto da un Giudice all’esito di un procedimento penale e non dalle Forze dell’Ordine. In caso di denuncia ai sensi dell’art. 650 c.p. gli operanti si limitano ad effettuare l’identificazione e l’elezione di domicilio all’indagato e a denunciarlo all’Autorità Giudiziaria. Soltanto all’esito del procedimento penale viene, eventualmente, irrogata la sanzione prevista dal codice penale.

Una cosa è certa. Le Forze dell’Ordine stanno effettuando moltissimi controlli a tappeto volti a garantire il rispetto delle misure di contenimento adottate dal Governo. Secondo il sito del Ministero dell’Interno nella sola giornata del 16 marzo 2020 sono stati denunciati 7.890 cittadini per il reato previsto dall’art. 650 c.p. e sono stati sospesi 22 esercizi commerciali.  Salgono dunque a ben 35.506 le persone fino ad oggi denunciate ai sensi dell’art. 650 c.p. per violazione delle misure adottate dal Governo.

La disciplina del consenso informato nella nuova legge sul testamento biologico

Lo scorso dicembre è entrata in vigore la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, meglio nota come legge sul testamento biologico.

Con tale legge viene assicurata una tutela ampia del consenso informato stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Viene, inoltre, promossa e valorizzata la relazione tra paziente e medico, relazione in cui vengono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i famigliari o i conviventi e i partners dell’unione civile o ancora una persona di fiducia del paziente medesimo. Una novità, questa, che recepisce anche a livello normativo le esigenze derivanti dal mutato contesto sociale e familiare italiano.

La legge stabilisce che ogni persona ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo aggiornato e a lei comprensibile riguardo alle diagnosi alle prognosi ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

È importante sottolineare che, ai sensi della legge in commento, nella nozione di trattamento sanitario vengono per la prima volta ricomprese espressamente anche l’alimentazione e l’idratazione artificiale tramite dispositivo medico. Questa legge interviene, dunque, fermamente nel dibattito che aveva interessato i casi Englaro e Welby, in cui molti la posizione di molti tra coloro che si dicevano contrari a staccare i macchinari faceva leva sull’argomento per cui alimentazione artificiale non poteva considerarsi un trattamento sanitario.

Da ultimo, la nuova legge impone al medico di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciarvi e, in conseguenza di ciò, il medico viene esentato da ogni forma di responsabilità civile o penale.

Nelle situazioni di emergenza e di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

Questa legge marca il definitivo tramonto della concezione paternalistica del rapporto paziente- medico, che vedeva il paziente affidarsi quasi ciecamente alle cure e alle scelte del medico, e segna dunque il passaggio definitivo ad una relazione paritaria fondata sulla fiducia e sul consenso informato.

Stalking: le conversazioni su whatsapp costituiscono valida prova a condizione che venga acquisito anche il relativo supporto telematico o figurativo

Con la sentenza 49016/17 depositata lo scorso 25 ottobre 2017, la Corte di Cassazione conferma il valore di prova documentale delle trascrizioni delle conversazioni whatsapp. Tuttavia, osserva la Cassazione, la loro utilizzabilità in giudizio è subordinata all’acquisizione dei relativi supporti telematici o figurativi al fine di controllare l’affidabilità della prova mediante l’esame diretto del supporto, onde verificare con certezza la paternità delle registrazioni e l’attendibilità di quanto da esse registrato.

La decisione in commento si inserisce nel quadro di una vicenda giudiziaria in cui la difesa di un giovane, imputato di stalking, aveva tentato di screditare le dichiarazioni della persona offesa (l’ex fidanzata minorenne), chiedendo che venissero acquisite le trascrizioni delle conversazioni di whatsapp tra i due ragazzi, che avrebbero provato la permanenza di un rapporto affettivo tra i due anche a seguito della denuncia presentata dalla ragazza. La richiesta veniva, tuttavia, rigettata dalla Corte d’Appello di Caltanissetta sul presupposto che non erano stati prodotti anche i supporti contenenti la registrazione delle conversazioni. Quest’ultima decisione veniva confermata anche dalla Corte di Cassazione.

La configurabilità del reato di affitto in nero agli stranieri clandestini è configurabile anche in assenza di un canone di affitto esorbitante o, comunque, superiore rispetto alla media di mercato

In questo interessante caso un uomo era stato condannato in primo grado alla pena di mesi sei di reclusione e alla confisca degli immobili in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 12 comma 5 bis. D.lgs n. 286/98 aver affittato a degli stranieri senza permesso di soggiorno due appartamenti di sua proprietà posti all’interno di uno stabile milanese. In particolare, ben sapendo di non poter affittare direttamente a degli inquilini privi di documenti di soggiorno, il soggetto aveva intestato i contratti ad altre persone, regolarmente soggiornanti in Italia, ed aveva indicato nei rispettivi contratti un canone d’affitto di Euro 850, importo inferiore rispetto a quello di Euro 1.500 effettivamente percepito dagli inquilini stranieri in questione. Detti contratti, poi, non erano stati registrati all’Agenzia delle Entrate.

In appello l’uomo veniva assolto in quanto, secondo la Corte d’Appello, non era stata raggiunta la prova del dolo specifico del reato, ossia la volontà di trarre profitto dalla condizione di clandestinità degli inquilini. In particolare, la Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto non esorbitante il canone di affitto richiesto dall’uomo, in quanto comprensivo anche delle spese condominiali. Allo stesso modo, nell’ottica della Corte territoriale, la presenza dei contratti scritti costituiva garanzia sufficiente per gli inquilini clandestini che avrebbero potuto agire in giudizio per riequilibrare le condizioni contrattuali. La decisione assolutoria veniva però impugnata dalla Procura Generale milanese.

Con la sentenza n. 32391/17 depositata lo scorso luglio, la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello rilevando come non sia affatto necessario, per la configurabilità del reato di cui all’art. 12 comma 5 bis D.lgs 286/98, che l’ingiusto profitto tratto dall’agente dalla condizione di clandestinità degli inquilini si traduca necessariamente in un canone di affitto superiore rispetto alla media di mercato, essendo sufficiente che l’illegalità delle condizione della persona straniera abbia reso possibile o anche soltanto agevolato la conclusione del contratto a condizioni oggettivamente più vantaggiose per la parte più forte ( si pensi anche solo all’evasione delle tasse resa possibile dalla mancata registrazione del contratto di locazione). La Cassazione ha, inoltre, ricordato che la presenza dei contratti scritti, peraltro intestati a soggetti di comodo, di per sé non tutelava in alcun modo gli inquilini stranieri in quanto, in assenza di contratto regolarmente registrato, non era possibile ottenere alcuna tutela in sede giudiziaria.

La sentenza in commento si colloca nel solco di una giurisprudenza che fa propria una lettura tutt’altro che restrittiva di una norma che sanziona, oltre che con pene detentive, anche con la confisca degli immobili chiunque  a titolo oneroso dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o anche solo del rinnovo del contratto di locazione.

I diritti dei passeggeri in caso di cancellazione di un volo

I passeggeri dei voli di linea godono di una serie di diritti disciplinati dal Regolamento CE n. 261/04 che istituisce regole comuni in tutti gli stati dell’Unione Europea in caso di cancellazione di un volo, di ritardo prolungato ovvero nella fastidiosa ipotesi di overbooking.

I diritti previsti dal regolamento trovano applicazione purché il volo in questione avvenga all’interno del territorio dell’Unione Europea, oppure parta dal territorio dell’Unione Europea, a prescindere dal fatto che la compagnia aerea operante sia o meno una compagnia UE. I diritti previsti dal regolamento entrano, altresì, in gioco qualora il volo arrivi in Unione Europea con provenienza da un paese extra UE e sia gestito da una compagnia aerea UE.

In caso di cancellazione del volo il passeggero ha diritto di scegliere in alternativa tra il rimborso integrale del prezzo del biglietto per la parte di viaggio non effettuata (rimborso che essere erogato entro sette giorni), oppure di essere imbarcato su di un volo alternativo non appena possibile. Nel caso in cui il passeggero si trovi già in aeroporto e dovesse scegliere questa seconda opzione, avrà altresì diritto a pasti e bevande in proporzione alla durata dell’attesa e a due chiamate telefoniche o invii di sms o e-mail. Inoltre, il passeggero avrà diritto al pernottamento se il volo alternativo è il giorno successivo alla data prevista.

Il regolamento prevede, altresì che, in caso di cancellazione del volo, in aggiunta a ai diritti già indicati, al passeggero spetti anche una compensazione monetaria che va dai 250 Euro ai 600 Euro in funzione della lunghezza della tratta, salvo che il vettore aereo non dimostri che la cancellazione del volo sia dovuta a cause eccezionali e fatte salve le ulteriori ipotesi di esclusione tassativamente individuate dal regolamento.

Il diritto alla compensazione stabilito dalla normativa europea lascia comunque impregiudicato il risarcimento degli ulteriori danni che la cancellazione del volo può aver eventualmente arrecato.

 

La resistenza a pubblico ufficiale è configurabile anche nell’ipotesi di mera minaccia di atti di autolesionismo

Con la sentenza n. 26869/17 la Corte di Cassazione ha stabilito che “la condotta dell’automobilista che, sorpreso dagli organi accertatori alla guida privo dei documenti del veicolo, della patente e della copertura assicurativa, minacci di darsi fuoco con del liquido infiammabile in ipotesi di sottrazione del mezzo e si barrichi all’interno dello stesso, integra il delitto di cui all’art. 337 c.p.”

In particolare, sempre secondo quanto osservato dalla Suprema Corte “ai fini della integrazione della minaccia ad un pubblico ufficiale, invero, non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo sufficiente l’uso di una qualsiasi coazione, anche morale, o anche una minaccia indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale. Tale minaccia, dunque, può essere anche costituita da una condotta autolesionistica dell’agente, quando la stessa sia finalizzata ad impedire o contrastare il compimento di un atto dell’ufficio ad opera del pubblico ufficiale”.

Verso l’introduzione del reato di propaganda fascista e nazifascista. Il contenuto della proposta di legge

 

Martedì 12 settembre 2017 verrà esaminato dalla Camera dei Deputati il disegno di legge che, in caso di approvazione in via definitiva da parte del Parlamento, dovrebbe introdurre all’art. 293 bis c.p. il reato di propaganda fascista e nazifascista.

Secondo la relazione presentata alla Camera, l’obiettivo della proposta di legge (impregiudicate le normative speciali già vigenti in materia come la legge Scelba o la legge Mancino) é quello di delineare una nuova fattispecie di reato che consenta di colpire alcune condotte che, individualmente considerate, sfuggono alle attuali normative quali, ad esempio, il saluto romano (sulla cui valenza penale la giurisprudenza è altalenante)  o la vendita di gadgets e prodotti anche alimentari riproducenti immagini, simboli o slogan esplicitamente rievocativi dell’ideologia del regime fascista o nazifascista.

Il testo attuale della bozza di articolo 293 bis c.p. prevede, infatti, che “chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.

È fuori dubbio che la proposta di legge sia stata pensata al fine di colpire (in questo caso con pena aggravata) soprattutto quelle esternazioni o quelle diffusioni di immagini, simboli o contenuti che avvengono prevalentemente su internet. Ma, se verrà approvata così com’è, rischiano di essere messi al bando anche tutti quei prodotti e gadgets che richiamano esplicitamente la simbologia fascista.

L’iter di approvazione parlamentare è sicuramente destinato ad alimentare polemiche furiose, tra chi sostiene che si tratti di una legge giusta in quanto volta a reprimere ogni manifestazione di un’ideologia che ha causato morte e distruzione e chi, invece, la ritiene una legge liberticida e, per certi versi, inutile, in quanto lascia impunita la diffusione di simboli e contenuti di altre ideologie, magari di opposto orientamento politico, che storicamente hanno causato altrettanti morti nel mondo.

La reciprocità delle condotte moleste esclude il reato di molestie ex art. 660 c.p.….ma non quello di stalking?

Con la recente sentenza n. 34096/2017 del 12.07.2017 la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento secondo cui “non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone previsto dall’art. 660 cod. pen. allorché vi sia reciprocità o ritorsione delle molestie, in quanto in tal caso non ricorre la condotta tipica descritta dalla norma, e cioè la sua connotazione per petulanza o altro biasimevole motivo, cui è subordinata l’illiceità penale del fatto” (Sez. 1, n. 23262 del 23/02/2016, RV. 267221; conforme, tra le tante, Sez. 1, n. 26303 del 06/05/2004, RV. 228207 ).”

Il caso deciso dalla suprema Corte trae origine dal processo per stalking inizialmente celebrato a carico di un uomo accusato di “perseguitare” la ex moglie attraverso un ingente mole di telefonate. Sennonché, già nel corso del dibattimento di primo grado, l’acquisizione dei tabulati telefonici aveva evidenziato l’esistenza di numerose chiamate alle utenze telefoniche dell’imputato anche da parte della stessa ex moglie, il che poneva non pochi dubbi sull’effettività dello stato di timore che le condotte asseritamente persecutorie dell’uomo avrebbero ingenerato nella donna. Riqualificato, dunque, il fatto ai sensi della meno grave ipotesi di reato di molestie ex art. 660 c.p. l’uomo era stato condannato alla pena di 400 Euro di ammenda oltre al risarcimento del danno nei confronti della ex moglie, costituitasi parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Con la decisione in commento la Cassazione ha, da ultimo, annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

È legittimo, quindi, chiedersi, alla luce di questa decisione, se la reciprocità delle condotte moleste sia di per sé suscettibile di escludere anche la configurabilità del delitto di atti persecutori contemplato dall’art. 612 bis c.p.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione fornisce tradizionalmente una risposta negativa a questa domanda sul presupposto che l’immagine “in cui la vittima è a tal punto prostrata dalla campagna persecutoria da non essere in grado di reagire – è un mero stereotipo che non ha addentellato alcuno nel testo normativo” (Cass. 51718/14). Secondo la Suprema Corte, infatti, “la reciprocità dei comportamenti molesti non è di per sé idonea ad escludere la configurabilità del reato (di stalking ndr), o ad incidere significativamente sull’attendibilità della vittima, piuttosto incombendo sul giudice, in tali ipotesi, un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza -nella specie a livello di gravità indiziaria dell’evento di danno” (Cass. 45648/2013).

Un orientamento, questo, che sembra, però, essere messo in discussione proprio dalla vicenda processuale in commento, nel quale la dimostrazione in giudizio della reciprocità delle condotte moleste ha, di fatto, permesso di escludere dapprima la configurabilità dello stalking e, successivamente, anche del reato di molestie.

 

Come difendere i propri figli dal bullismo su internet. I nuovi strumenti a tutela dei minori

Con l’evoluzione della tecnologia e dei social network anche il fenomeno del bullismo, un tempo confinato ai cortili e agli ambienti scolastici ha da tempo traslocato in rete. Se si considera che già nel 2008 il 92% dei ragazzini di età compresa tra i 12 e i 17 anni possedeva un profilo sui social e aveva disponibilità di uno smartphone si comprende come, in realtà, per i teen-agers vi sia ben poca differenza tra vita reale e vita online.

La verità è che il “cyberbullismo” è un fenomeno potenzialmente più pericoloso del bullismo tradizionale, dal momento in cui gli autori delle minacce o delle molestie sfruttano spesso l’anonimato offerto dalla rete, rendendo assai più difficile per la vittima difendersi una volta che viene presa di mira. Inoltre, a differenza del bullismo tradizionale, il cyberbullismo non conosce limiti spazio-temporali dal momento in cui la vittima può essere sistematicamente bersagliata ogniqualvolta si connette ad internet. In quest’ottica, nemmeno le mura domestiche offrono protezione adeguata.

L’art. 1 della legge n. 71/2017 definisce il cyberbullismo come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.”  

L’art. 2 della legge in questione descrive quali sono gli strumenti a tutela della dignità del minore. È previsto, infatti, che gli stessi minori ultraquattordicenni che abbiano subito uno o più dei comportamenti sopra descritti o anche i genitori, possano inviare direttamente al gestore del sito o del social una richiesta di oscuramento, ovvero di blocco o, comunque, di rimozione di qualsiasi dato personale relativo al minore.

Sempre l’art. 2 della legge 71/2017 prevede poi che, nell’ipotesi in cui il responsabile del sito non si attivi entro le ventiquattro ore dalla ricezione della richiesta o, comunque, nel caso in cui non sia possibile identificare il gestore del sito o del social, l’interessato potrà rivolgersi direttamente al Garante della Privacy.

Il Garante interviene nelle quarantotto ore successive alla segnalazione ordinando al gestore del sito o del social il blocco e la rimozione dei dati personali del minore trattati in violazione delle disposizioni della legge di prevenzione e contrasto del cyberbullismo.

È importante sottolineare che non è necessario che i dati e le informazioni personali pubblicati online integrino un trattamento illecito di dati ovvero un’altra tipologia di reato specifica, dal momento in cui la tutela offerta dalla nuova legge si pone su un piano indipendente e, per certi versi, parallelo rispetto a quello penale.

Gli strumenti offerti dalla Legge contro il cyberbullismo offrono, quindi, una tutela assai più rapida e snella rispetto al tradizionale rimedio della denuncia-querela, essendo quest’ultima circoscritta unicamente ai fatti e alle condotte integranti reato e irrimediabilmente vincolata ai tempi non certo rapidi delle indagini penali.

Difendersi con il patrocinio a spese dello Stato

Il Patrocinio a Spese dello Stato (noto anche come gratuito patrocinio) nasce con lo scopo di assicurare alle persone meno abbienti l’accesso alla giustizia.

La persona ammessa al patrocinio gratuito, infatti, beneficia dell’assistenza legale di un solo difensore che verrà integralmente retribuito dallo Stato. Inoltre, la persona ammessa al gratuito patrocinio è dispensata dal pagamento di tasse o imposte per avviare una causa oppure resistervi, come pure è esentata dal pagamento di spese di notifica e diritti di copia.

Vediamo i dettagli.

  • Chi può richiederlo ?

Il cittadino italiano o straniero/apolide che sia accusato di un reato ovvero vittima di un reato che intenda costituirsi parte civile nel processo penale. L’ammissione è valida per tutti i gradi di giudizio. In ambito civile il patrocinio a spese dello stato può essere chiesto dalla persona che intende iniziare un giudizio ovvero resistere in un giudizio.

  • Quando si può richiedere?

Quando si ha un reddito familiare (cioè la somma dei redditi di tutti i componenti del nucleo), risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, inferiore a € 11.528,41. Nel solo processo penale è previsto l’aumento di tale soglia reddituale nella misura di € 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi. I conviventi more uxorio contano come familiari.

  • Ci sono categorie di soggetti esclusi? 

Si. Sono esclusi dal GP coloro che sono indagati per reati di evasione in materia di imposte. Sono altresì esclusi i condannati con sentenza definitiva per reati di associazione mafiosa e connessi al traffico di tabacchi e a agli stupefacenti. Inoltre, l’ammissione al patrocinio a spese dello stato decade nel momento in cui il beneficiario nomina un secondo avvocato in aggiunta a quello precedentemente nominato.

  • Ci sono disposizioni a favore di donne maltrattate o minori?

Si. L’art. 76 comma 4 ter DPR 115/2002 prevede che le vittime dei reati concernenti i maltrattamenti in famiglia, la violenza o lo sfruttamento sessuale, le pratiche di mutilazione genitale femminile, la pornografia infantile e lo stalking possano essere ammesse al beneficio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge. In altri termini, ove richiesto, lo Stato assume integralmente i costi della difesa in giudizio delle vittime di tali reati.

  • Mi hanno assegnato un difensore d’ufficio. E’ gratuito?

No. Difensore d’ufficio e patrocinio a spese dello Stato sono due cose diverse. È, tuttavia, sempre possibile verificare che il difensore d’ufficio sia abilitato a difendere con il gratuito patrocinio

  • Quali sono i documenti necessari?

Carta di identità, codice fiscale di tutti i componenti del nucleo familiare, ultima dichiarazione dei redditi dei componenti del nucleo (in mancanza autocertificazione del reddito). Gli stranieri dovranno altresì corredare la domanda di ammissione con una dichiarazione rilasciata dal Consolato del Paese di appartenenza attestante il mancato possesso di redditi all’estero.

  • A chi va presentata la domanda?

Nel penale la domanda viene indirizzata al giudice procedente. Nel civile la domanda va indirizzata alla Commissione Patrocinio a Spese dello Stato dell’Ordine degli Avvocati.  Nella prassi è spesso l’avvocato prescelto dal cliente che si occupa di presentare le istanze con la relativa documentazione.