Mandato di arresto europeo: illegittima la consegna in caso di omessa traduzione in italiano del MAE

Con sentenza n. 24927/2023 del 7.06.2023 la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello di Genova con la quale era stata disposta la consegna di un cittadino afgano all’Austria per l’esecuzione di una pena detentiva relativa a pregresse condanne per reati in materia di stupefacenti e lesioni personali.

In particolare, la Corte di Cassazione ha osservato che il MAE era stato compilato esclusivamente in lingua tedesca ed era stato soltanto parzialmente tradotto in italiano. Ciò non ha consentito di verificare le modalità di svolgimento dei giudizi che avevano determinato le condanne e il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge n. 69/2005 per i procedimenti in “absentia”.

Coppie internazionali – Il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso ed il suo riconoscimento in Italia

Tra le coppie internazionali che mi capita di assistere a livello legale vi sono frequentemente coppie composte da due donne o da due uomini. Molte di queste persone, dopo una lunga permanenza all’estero, hanno scelto di vivere in Italia per i motivi più disparati e il più delle volte sono sposate in paesi che ammettono il matrimonio civile anche per questo genere di unioni. La domanda più ricorrente che pongono all’avvocato è se il loro matrimonio ha valore in Italia e come si devono comportare nel momento in cui attraversano la crisi coniugale.  

Orbene, la risposta a questa domanda è, per certi versi, affermativa. Anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero possono trovare riconoscimento in Italia. Ma occorre fare una distinzione.

Se, infatti, anche uno solo dei partners è cittadino italiano, l’eventuale matrimonio contratto all’estero con una persona dello stesso sesso produrrà in Italia gli effetti dell’unione civile (così dispone l’art 32 bis della legge n. 218/95).  Viceversa, se entrambi i partners sono cittadini stranieri, la loro unione potrà essere registrata in Italia come un vero e proprio matrimonio (così Cass. Sez. I, Sent n. 11696/2018).

Nonostante la Cassazione nella citata sentenza abbia respinto i dubbi di incostituzionalità dell’art. 32 bis L. 218/95 ribadendo che, in buona sostanza, ciascuno Stato membro del Consiglio d’Europa è libero di scegliere il modello di unione omoaffettiva che crede, purché sia assicurato uno standard di tutela coerente con la giurisprudenza CEDU, non è semplice spiegare il perché di questa disparità di trattamento. Sebbene l’unione civile presenti, infatti molte analogie con il matrimonio, non poche sono le differenze. Ad esempio l’obbligo di fedeltà, contemplato per il matrimonio, non è previsto per l’unione civile. E se entrambi i coniugi vengono considerati dalla legge come genitori dei figli nati in costanza di matrimonio, nel caso di unione civile la legge considera come tale soltanto il genitore biologico.

Condotte riparatorie: l’estinzione del reato non si estende ai correi che non abbiano riparato il danno.

Con sentenza 20210/23 del 12.05.2023 la Cassazione ha affermato che la causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen in tema condotte riparatorie ha natura soggettiva. Pertanto, l’estinzione del reato ha effetto solamente nei confronti colui al quale la causa estintiva si riferisce, non estendendosi ai correi.

Una decisione che chiarisce, quindi, l’effetto estintivo delle condotte riparatorie. A differenza della remissione della querela, infatti, i cui effetti estintivi si estendono anche agli altri eventuali correi che non l’abbiano ricusata ex art 155 comma 2 c.p., l’estinzione del reato derivante dalle condotte riparatorie riguarda esclusivamente il soggetto interessato.   

Corte di Giustizia UE – Mandato di Arresto Europeo: la facoltà di rifiutare l’esecuzione di un MAE affinché la pena sia eseguita nello Stato membro di residenza deve potersi applicare anche ai cittadini di paesi terzi

Con sentenza del 6.06.2023 nella causa C-700/21 la grande sezione della CGUE ha affermato che il diritto dell’Unione europea osta ad una normativa nazionale – come quella italiana di recepimento della  Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002 – che circoscriva la possibilità di rifiutare l’esecuzione del MAE unicamente alle ipotesi di cittadini italiani o cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea che presentino legami con l’Italia, con esclusione dei cittadini di paesi terzi. E ciò in quanto una simile disposizione contrasta con il principio di parità di trattamento sancito dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.  

La vicenda trae origine dalla richiesta di MAE finalizzata all’esecuzione di una pena detentiva avanzata da un tribunale della Romania nei confronti di un cittadino moldavo stabilmente residente in Italia. La Corte d’Appello di Bologna, non potendo legittimamente rifiutare l’esecuzione del MAE pur rilevando lo stabile radicamento familiare e professionale della persona ricercata, adiva la Corte Costituzionale italiana che, a sua volta, disponeva un rinvio pregiudiziale alla CGUE che rendeva la decisione in commento.

Notoriamente il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la CGUE in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione. La decisione della CGUE, pur non risolvendo nel merito la controversia nazionale, vincola i giudici nazionali a statuire sula controversia attenendosi all’interpretazione del diritto europeo fornita dalla Corte. Tale decisione vincola anche gli altri giudici nazionali che debbano decidere in merito alla medesima questione.    

La Corte di Cassazione nega l’estradizione verso la Repubblica Popolare Cinese

Con sentenza n. 21125/23 del 17.05.2023 la Corte di Cassazione, ribaltando la decisione della Corte d’Appello di Ancona, ha negato l’estradizione richiesta dalla Cina nei confronti di una propria cittadina, accusata di essersi appropriata di una cospicua somma di denaro attraverso una piattaforma digitale ove svolgeva attività di raccolta del risparmio e concessione di finanziamenti in assenza di autorizzazione.

In particolare la Corte di Cassazione, citando la giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ( Liu c. Polonia 6.10.2022) ha affermato che, nel caso in cui l’estradizione venga richiesta dalla Repubblica Popolare Cinese, sussiste il rischio  di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, in quanto plurime fonti internazionali affidabili dànno atto di sistematiche violazioni dei diritti umani e del tollerato ricorso a forme di tortura, nonché della sostanziale impossibilità, da parte di istituzioni ed organizzazioni indipendenti, di verificare le effettive condizioni dei soggetti ristretti nei centri di detenzione.

Tale rischio, ha motivato la Corte, non è escluso per effetto delle rassicurazioni, del tutto generiche, fornite dall’Autorità cinese. In motivazione la Cassazione ha altresì fatto cenno alle condizioni del fratello dell’accusata, sottoposto a detenzione illegale in patria nel presumibile intento di indurre la donna a far rientro in Cina.  

La tutela penale dell’assegno di mantenimento prevista dall’art. 570 bis c.p.

Gli anni della pandemia hanno visto un notevole aumento del numero di procedimenti penali apertisi a seguito di denunce per omesso versamento dell’assegno di mantenimento dovuto in favore dei figli o del coniuge.  Il blocco delle attività lavorative, i divieti di spostamento e le innumerevoli limitazioni imposte alle attività commerciali hanno, infatti, avuto delle pesanti ricadute su ricavi e stipendi e ciò si è talora tradotto nell’interruzione dei versamenti degli assegni di mantenimento.   

Numerosi sono attualmente i casi di citazione a giudizio di imputati che vengono chiamati a rispondere del reato previsto dall’art. 570 bis. c.p. che punisce la condotta di chiunque si sottrae al pagamento di “ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio” nonché, in generale, le violazioni degli “obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.   

È importante precisare che questa norma punisce soltanto la condotta di colui “che si sottrae” al pagamento. Ciò sta ad indicare che un’omissione occasionale non è sufficiente a far scattare l’applicazione della sanzione penale. E’, infatti, richiesto un inadempimento serio e perdurante dell’obbligazione alimentare.

Inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la tutela penale prevista da questa norma si applica anche ai casi di violazione dei provvedimenti economici riguardanti i figli di genitori non sposati (così Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 8222 del 28/01/2022).

Sul piano delle esimenti, va infine ricordato che i giudici, in linea con l’orientamento prevalente in giurisprudenza, sono particolarmente severi nel valutare le giustificazioni fornite da chi si rende inadempiente ad un dovere di rilievo costituzionale quale il pagamento dell’assegno di mantenimento. In particolare, è stato affermato che, per andare esente da pena, l’eventuale incapacità economica dell’obbligato deve essere assoluta, oggettiva, incolpevole e protratta nel tempo e non può consistere nella documentazione di una condizione meramente formale di disoccupazione (così da ultimo Cass. Sez. 6 – , Sentenza n. 49979 del 09/10/2019).   

Coloro che sono tenuti a versare mensilmente un assegno di mantenimento in favore dell’ex coniuge o dei figli in base ad un provvedimento giudiziale dovrebbero, quindi, evitare con cura di rimanere inadempienti per troppo tempo, pena il rischio di subire un procedimento penale per il reato di cui all’art. 570 bis c.p.

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di atti abnormi

Il caso trae origine dal decesso avvenuto nel 2016 di un giovanissimo motociclista romano che, mentre percorreva la SS Colombo perdeva improvvisamente il controllo del mezzo e veniva sbalzato contro un albero. Una morte, quella del giovane, che ha suscitato numerosi interrogativi circa la sicurezza e la manutenzione di una strada tristemente nota a livello locale per l’elevato numero di incidenti.
La Procura della Repubblica di Roma, dopo aver inizialmente aperto un fascicolo a carico di ignoti ipotizzando il reato di omicidio colposo, chiese l’archiviazione. Il GIP, dal canto suo, respingeva la richiesta invitando il pubblico ministero “ad individuare i responsabili della manutenzione ordinaria e straordinaria” della strada e ad “esercitare l’azione penale per l’ipotesi di omicidio colposo”.
Contro questa ordinanza ricorreva per Cassazione la Procura di Roma, lamentando l’abnormità dell’atto e l’ingerenza, da parte del GIP, delle prerogative del pubblico ministero in tema di esercizio dell’azione penale.
Con sentenza 18758/22 la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura evidenziando come il giudice delle indagini preliminari non possa in alcun modo surrogarsi all’organo d’accusa, cui è rimessa ogni valutazione e decisione in ordine al tempo e al modo di svolgimento delle indagini.
La sentenza merita in ogni caso di essere segnalata in quanto contiene una interessante ricognizione dei cd. “atti abnormi” commessi dai GIP. Notoriamente gli “atti abnormi” sono quelli che, pur non presentando vizi di legittimità riconducibili a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., presentano comunque anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema
processuale e con esso radicalmente incompatibili.

Sull’illegittimità costituzionale dell’art. 726 c.p. (atti contrari alla pubblica decenza)

Con sentenza n. 95 del 9 marzo – 14 aprile 2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 726 c.p. nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa pecuniaria «da euro 5.000 a euro 10.000» anziché «da euro 51 a euro 309», operando così un riallineamento della cornice sanzionatoria della norma in esame rispetto a quella prevista
dal codice penale per gli atti osceni commessi con colpa ai sensi dell’art. 527 comma 3 c.p.
Nella propria decisione la Corte ricorda che il principio della proporzionalità, che trova fondamento nell’art. 3 Cost., trova applicazione non solo con riferimento alle norme penali ma anche rispetto alla materia delle sanzioni amministrative. Pertanto, in applicazione del suddetto principio, la Corte Costituzionale ha ritenuto condivisibili le valutazioni espresse dal giudice di pace di Sondrio a mente delle quali la sanzione pecuniaria prevista dalla legge per gli atti contrari alla pubblica decenza (da euro 5.000 a euro 10.000 prevista) appare del tutto sproporzionata rispetto a quella prevista per la fattispecie, addirittura più grave, di atti osceni commessi con colpa ex art 527 comma 3 c.p. (da 51 euro a euro 309).
E tale irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio si rivela ancor più ingiustificata se si considera che la norma dichiarata incostituzionale non effettua alcuna distinzione tra fattispecie dolose e fattispecie colpose a differenza di quanto avviene nel caso dell’art. 527 c.p. Da cui la declaratoria di illegittimità costituzionale della cornice sanzionatoria prevista dall’art. 726 c.p.

IL REATO DI OMESSA DICHIARAZIONE NON SI CONFIGURA NEL CASO DI PRESENTAZIONE NEI TERMINI DI UNA DICHIARAZIONE INCOMPLETA

La Corte di Cassazione è recentemente tornata sul reato di omessa dichiarazione ex art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 affermando che la presentazione, nei termini previsti dalle leggi tributarie e nel rispetto delle soglie individuate, di una dichiarazione incompleta non integra il reato in esame quanto la condotta incriminata dalla norma consiste unicamente nella mancata presentazione tout court della dichiarazione.

La Suprema Corte, infatti, nella sentenza n. 5141/22 del 14.02.2022 ha ricordato che il principio di legalità e di divieto di analogia che governano il diritto penale italiano impongono di individuare con precisione la condotta incriminata senza estenderne la portata a fatti da questa non espressamente contemplati.

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte è di particolare interesse in quanto trae origine dalla vicenda di presentazione di una dichiarazione che, pur essendo intervenuta nei termini, era sostanzialmente “in bianco” per essere stata del tutto omessa la compilazione del quadro RS relativo ai redditi.

LA PRESENZA DI RILEVANTI LEGAMI FAMILIARI IN ITALIA E’ MOTIVO OSTATIVO ALL’ESPULSIONE DELLO STRANIERO IRREGOLARE

E’ quanto si ricava dall’ordinanza n. 4745/2022 del 14.02.2022 della Corte di Cassazione che ha annullato la decisione del Giudice di Pace di Lecce che aveva confermato il decreto di espulsione emesso nei confronti di un cittadino straniero.

In particolare nella propria decisione la Suprema Corte rileva proprio come il Giudice di Pace abbia omesso di valutare la rilevanza dei legami familiari dello straniero quale eventuale motivo ostativo all’espulsione come stabilito dall’art. 13 comma 2 bis del T.U. Immigrazione.

Nel caso di specie, infatti, il provvedimento di espulsione era stato emesso nei confronti di uno straniero che viveva in Italia da vent’anni con la moglie ed il proprio figlio e di cui anche i parenti di primo e secondo grado erano stabilmente radicati in Italia ed erano titolari di carta di soggiorno a tempo indeterminato.   

Una decisione, quella in commento, che sicuramente rimarca l’importanza di una valutazione molto spesso trascurata nei provvedimenti espulsivi adottati dall’Amministrazione, che in genere ricorre a mere clausole di stile senza effettuare una reale valutazione caso per caso, della rilevanza e della consistenza dei legami familiari dello straniero in Italia.