Mandato di arresto europeo: illegittima la consegna in caso di omessa traduzione in italiano del MAE

Con sentenza n. 24927/2023 del 7.06.2023 la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello di Genova con la quale era stata disposta la consegna di un cittadino afgano all’Austria per l’esecuzione di una pena detentiva relativa a pregresse condanne per reati in materia di stupefacenti e lesioni personali.

In particolare, la Corte di Cassazione ha osservato che il MAE era stato compilato esclusivamente in lingua tedesca ed era stato soltanto parzialmente tradotto in italiano. Ciò non ha consentito di verificare le modalità di svolgimento dei giudizi che avevano determinato le condanne e il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge n. 69/2005 per i procedimenti in “absentia”.

Condotte riparatorie: l’estinzione del reato non si estende ai correi che non abbiano riparato il danno.

Con sentenza 20210/23 del 12.05.2023 la Cassazione ha affermato che la causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen in tema condotte riparatorie ha natura soggettiva. Pertanto, l’estinzione del reato ha effetto solamente nei confronti colui al quale la causa estintiva si riferisce, non estendendosi ai correi.

Una decisione che chiarisce, quindi, l’effetto estintivo delle condotte riparatorie. A differenza della remissione della querela, infatti, i cui effetti estintivi si estendono anche agli altri eventuali correi che non l’abbiano ricusata ex art 155 comma 2 c.p., l’estinzione del reato derivante dalle condotte riparatorie riguarda esclusivamente il soggetto interessato.   

La Corte di Cassazione nega l’estradizione verso la Repubblica Popolare Cinese

Con sentenza n. 21125/23 del 17.05.2023 la Corte di Cassazione, ribaltando la decisione della Corte d’Appello di Ancona, ha negato l’estradizione richiesta dalla Cina nei confronti di una propria cittadina, accusata di essersi appropriata di una cospicua somma di denaro attraverso una piattaforma digitale ove svolgeva attività di raccolta del risparmio e concessione di finanziamenti in assenza di autorizzazione.

In particolare la Corte di Cassazione, citando la giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ( Liu c. Polonia 6.10.2022) ha affermato che, nel caso in cui l’estradizione venga richiesta dalla Repubblica Popolare Cinese, sussiste il rischio  di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, in quanto plurime fonti internazionali affidabili dànno atto di sistematiche violazioni dei diritti umani e del tollerato ricorso a forme di tortura, nonché della sostanziale impossibilità, da parte di istituzioni ed organizzazioni indipendenti, di verificare le effettive condizioni dei soggetti ristretti nei centri di detenzione.

Tale rischio, ha motivato la Corte, non è escluso per effetto delle rassicurazioni, del tutto generiche, fornite dall’Autorità cinese. In motivazione la Cassazione ha altresì fatto cenno alle condizioni del fratello dell’accusata, sottoposto a detenzione illegale in patria nel presumibile intento di indurre la donna a far rientro in Cina.  

La tutela penale dell’assegno di mantenimento prevista dall’art. 570 bis c.p.

Gli anni della pandemia hanno visto un notevole aumento del numero di procedimenti penali apertisi a seguito di denunce per omesso versamento dell’assegno di mantenimento dovuto in favore dei figli o del coniuge.  Il blocco delle attività lavorative, i divieti di spostamento e le innumerevoli limitazioni imposte alle attività commerciali hanno, infatti, avuto delle pesanti ricadute su ricavi e stipendi e ciò si è talora tradotto nell’interruzione dei versamenti degli assegni di mantenimento.   

Numerosi sono attualmente i casi di citazione a giudizio di imputati che vengono chiamati a rispondere del reato previsto dall’art. 570 bis. c.p. che punisce la condotta di chiunque si sottrae al pagamento di “ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio” nonché, in generale, le violazioni degli “obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.   

È importante precisare che questa norma punisce soltanto la condotta di colui “che si sottrae” al pagamento. Ciò sta ad indicare che un’omissione occasionale non è sufficiente a far scattare l’applicazione della sanzione penale. E’, infatti, richiesto un inadempimento serio e perdurante dell’obbligazione alimentare.

Inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la tutela penale prevista da questa norma si applica anche ai casi di violazione dei provvedimenti economici riguardanti i figli di genitori non sposati (così Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 8222 del 28/01/2022).

Sul piano delle esimenti, va infine ricordato che i giudici, in linea con l’orientamento prevalente in giurisprudenza, sono particolarmente severi nel valutare le giustificazioni fornite da chi si rende inadempiente ad un dovere di rilievo costituzionale quale il pagamento dell’assegno di mantenimento. In particolare, è stato affermato che, per andare esente da pena, l’eventuale incapacità economica dell’obbligato deve essere assoluta, oggettiva, incolpevole e protratta nel tempo e non può consistere nella documentazione di una condizione meramente formale di disoccupazione (così da ultimo Cass. Sez. 6 – , Sentenza n. 49979 del 09/10/2019).   

Coloro che sono tenuti a versare mensilmente un assegno di mantenimento in favore dell’ex coniuge o dei figli in base ad un provvedimento giudiziale dovrebbero, quindi, evitare con cura di rimanere inadempienti per troppo tempo, pena il rischio di subire un procedimento penale per il reato di cui all’art. 570 bis c.p.

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di atti abnormi

Il caso trae origine dal decesso avvenuto nel 2016 di un giovanissimo motociclista romano che, mentre percorreva la SS Colombo perdeva improvvisamente il controllo del mezzo e veniva sbalzato contro un albero. Una morte, quella del giovane, che ha suscitato numerosi interrogativi circa la sicurezza e la manutenzione di una strada tristemente nota a livello locale per l’elevato numero di incidenti.
La Procura della Repubblica di Roma, dopo aver inizialmente aperto un fascicolo a carico di ignoti ipotizzando il reato di omicidio colposo, chiese l’archiviazione. Il GIP, dal canto suo, respingeva la richiesta invitando il pubblico ministero “ad individuare i responsabili della manutenzione ordinaria e straordinaria” della strada e ad “esercitare l’azione penale per l’ipotesi di omicidio colposo”.
Contro questa ordinanza ricorreva per Cassazione la Procura di Roma, lamentando l’abnormità dell’atto e l’ingerenza, da parte del GIP, delle prerogative del pubblico ministero in tema di esercizio dell’azione penale.
Con sentenza 18758/22 la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura evidenziando come il giudice delle indagini preliminari non possa in alcun modo surrogarsi all’organo d’accusa, cui è rimessa ogni valutazione e decisione in ordine al tempo e al modo di svolgimento delle indagini.
La sentenza merita in ogni caso di essere segnalata in quanto contiene una interessante ricognizione dei cd. “atti abnormi” commessi dai GIP. Notoriamente gli “atti abnormi” sono quelli che, pur non presentando vizi di legittimità riconducibili a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., presentano comunque anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema
processuale e con esso radicalmente incompatibili.

Sull’illegittimità costituzionale dell’art. 726 c.p. (atti contrari alla pubblica decenza)

Con sentenza n. 95 del 9 marzo – 14 aprile 2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 726 c.p. nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa pecuniaria «da euro 5.000 a euro 10.000» anziché «da euro 51 a euro 309», operando così un riallineamento della cornice sanzionatoria della norma in esame rispetto a quella prevista
dal codice penale per gli atti osceni commessi con colpa ai sensi dell’art. 527 comma 3 c.p.
Nella propria decisione la Corte ricorda che il principio della proporzionalità, che trova fondamento nell’art. 3 Cost., trova applicazione non solo con riferimento alle norme penali ma anche rispetto alla materia delle sanzioni amministrative. Pertanto, in applicazione del suddetto principio, la Corte Costituzionale ha ritenuto condivisibili le valutazioni espresse dal giudice di pace di Sondrio a mente delle quali la sanzione pecuniaria prevista dalla legge per gli atti contrari alla pubblica decenza (da euro 5.000 a euro 10.000 prevista) appare del tutto sproporzionata rispetto a quella prevista per la fattispecie, addirittura più grave, di atti osceni commessi con colpa ex art 527 comma 3 c.p. (da 51 euro a euro 309).
E tale irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio si rivela ancor più ingiustificata se si considera che la norma dichiarata incostituzionale non effettua alcuna distinzione tra fattispecie dolose e fattispecie colpose a differenza di quanto avviene nel caso dell’art. 527 c.p. Da cui la declaratoria di illegittimità costituzionale della cornice sanzionatoria prevista dall’art. 726 c.p.

IL REATO DI OMESSA DICHIARAZIONE NON SI CONFIGURA NEL CASO DI PRESENTAZIONE NEI TERMINI DI UNA DICHIARAZIONE INCOMPLETA

La Corte di Cassazione è recentemente tornata sul reato di omessa dichiarazione ex art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 affermando che la presentazione, nei termini previsti dalle leggi tributarie e nel rispetto delle soglie individuate, di una dichiarazione incompleta non integra il reato in esame quanto la condotta incriminata dalla norma consiste unicamente nella mancata presentazione tout court della dichiarazione.

La Suprema Corte, infatti, nella sentenza n. 5141/22 del 14.02.2022 ha ricordato che il principio di legalità e di divieto di analogia che governano il diritto penale italiano impongono di individuare con precisione la condotta incriminata senza estenderne la portata a fatti da questa non espressamente contemplati.

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte è di particolare interesse in quanto trae origine dalla vicenda di presentazione di una dichiarazione che, pur essendo intervenuta nei termini, era sostanzialmente “in bianco” per essere stata del tutto omessa la compilazione del quadro RS relativo ai redditi.

CORONAVIRUS: MODULO DI AUTOCERTIFICAZIONE E REATO DI FALSE DICHIARAZIONI A PUBBLICO UFFICIALE (ART. 495 C.P.).

Come noto, il nuovo modulo dell’autocertificazione è stato integrato con il richiamo all’art. 495 c.p. che punisce con la reclusione da uno a sei anni la condotta di  “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”

Per come è stato impostato il modulo di autocertificazione la sanzione sembrerebbe applicarsi a tutte le dichiarazioni mendaci eventualmente contenute nel modulo, ivi compresa la motivazione dello spostamento laddove dovesse risultare falsa. Ma è davvero così?

Una più attenta analisi della norma sembrerebbe tuttavia escluderlo.

Nella nozione di qualità personali, cui fa riferimento l’art. 495, rientrano, oltre all’identità e allo stato civile, anche altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali, ad es., il luogo di residenza, la professione ecc. Restano, invece, fuori dalla tutela penale le richieste dell’Autorità su qualità squisitamente personali non giustificate da esigenze di identificazione, ma rivolte ad altri fini. E’ stato ritenuto, ad esempio, che non integra il reato in parola la condotta dell’automobilista che, pur non avendo mai conseguito l’abilitazione alla guida, dichiari falsamente alla Polizia Stradale di esserne munito ma di esserne momentaneamente sprovvisto (C., Sez. V, 15.11.2012-28.1.2013, n. 4243).  Come pure non integra il reato in esame la condotta di colui che dichiari falsamente alla polizia stradale di avere una regolare polizza assicurativa del proprio mezzo (C., Sez. V, 19.1.2016, n. 9195).

In altri termini, alla luce della casistica sino ad oggi esistente, sembrerebbe che soltanto le dichiarazioni mendaci circa l’identità o le altre qualità personali che valgono ad identificare la persona potrà comportare una responsabilità penale ai sensi dell’art. 495 c.p.. Contrariamente, invece, eventuali dichiarazioni mendaci circa le ragioni dello spostamento (comprovati motivi di lavoro, di, salute, di necessità, come pure l’indicazione del tragitto),  potrebbero al più far scattare l’applicazione dell’art. 650 c.p., ma non il più grave reato di cui all’art. 495 c.p.

In ogni caso, sarà interessante vedere la casistica giurisprudenziale che si formerà sulla fattispecie nei prossimi mesi, in considerazione delle numerose denunce effettuate dalle Forze dell’Ordine negli ultimi giorni.

 

 

 

EMERGENZA CORONAVIRUS: ATTENZIONE AI FALSI AUDIO SU WHATSAPP

In questi giorni circolano diversi audio sull’applicazione Whatsapp in cui vengono date notizie non corrette in merito alle sanzioni previste dall’art. 650 c.p. che notoriamente prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro per chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità, in questo caso le disposizioni adottate dal Governo per il contenimento del coronavirus.

In uno di questi audio si afferma che chi viene trovato senza l’autocertificazione in sede di controllo da parte delle Forze dell’Ordine viene automaticamente sanzionato con l’ammenda di 206 euro che, se pagata subito, viene iscritta nella fedina penale trasformando il malcapitato in un pregiudicato.

Orbene la notizia è sicuramente falsa. In primo luogo la denuncia ex art. 650 c.p. non consegue al mero fatto di essere sprovvisti dell’autocertificazione (che in viene fornita anche dalle Forze dell’Ordine al momento del controllo), ma al fatto di violare le disposizioni del decreto effettuando uno spostamento al di fuori dai casi consentiti dalla legge, ossia per recarsi al lavoro, per necessità o per motivi di salute.

In secondo luogo, l’ammenda è una sanzione penale che può essere irrogata soltanto da un Giudice all’esito di un procedimento penale e non dalle Forze dell’Ordine. In caso di denuncia ai sensi dell’art. 650 c.p. gli operanti si limitano ad effettuare l’identificazione e l’elezione di domicilio all’indagato e a denunciarlo all’Autorità Giudiziaria. Soltanto all’esito del procedimento penale viene, eventualmente, irrogata la sanzione prevista dal codice penale.

Una cosa è certa. Le Forze dell’Ordine stanno effettuando moltissimi controlli a tappeto volti a garantire il rispetto delle misure di contenimento adottate dal Governo. Secondo il sito del Ministero dell’Interno nella sola giornata del 16 marzo 2020 sono stati denunciati 7.890 cittadini per il reato previsto dall’art. 650 c.p. e sono stati sospesi 22 esercizi commerciali.  Salgono dunque a ben 35.506 le persone fino ad oggi denunciate ai sensi dell’art. 650 c.p. per violazione delle misure adottate dal Governo.

La responsabilità del medico del pronto soccorso sussiste anche a seguito di cambio turno senza passaggio di consegne formale

Secondo costante giurisprudenza il medico del pronto soccorso è titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti. Ciò sta a significare che egli deve attivarsi per informarsi sulle condizioni di salute dei pazienti che ha in carico e delle cure che necessitano o quantomeno a consultare la cartella clinica, anche nell’ipotesi in cui sia avvenuto un cambio turno senza passaggio formale di consegne tra medici.

È quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 44622/2017 del 27.09.2017 che ha confermato la condanna per omicidio colposo di una dottoressa del pronto soccorso in un caso riguardante il decesso di un uomo per shock emorragico dovuto all’ingestione durante il pasto di un osso di pollo.

Dal processo era, infatti, emerso che l’uomo aveva fatto ingresso al pronto soccorso lamentando un forte dolore allo sterno a seguito del pasto ed aveva informato i medici che durante il pranzo aveva ingerito un osso di pollo. Le linee guida prevedono in tali casi che il paziente venga sottoposto prima a una radiografia del torace e ad una radiografia dell’addome e, successivamente, ad un esame endoscopico onde rilevare la presenza del corpo estraneo.

Il paziente veniva inizialmente sottoposto alle radiografie previste dalle linee guida da parte dei medici che lo avevano preso in carico, le quali davano esito negativo. Successivamente, un’altra dottoressa, subentrata nel turno della mezzanotte, dimetteva il paziente refertando un “dolore toracico atipico”, raccomandandogli di far controllare la pressione arteriosa ed omettendo, tuttavia, di sottoporlo ad esame endoscopico.

Il paziente moriva dopo 5 giorni a causa dello shock emorragico provocato dalla fistolarizzazione dell’aorta e del conseguente shock emorragico provocato dall’osso di pollo precedentemente ingerito.