La disciplina del consenso informato nella nuova legge sul testamento biologico

Lo scorso dicembre è entrata in vigore la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, meglio nota come legge sul testamento biologico.

Con tale legge viene assicurata una tutela ampia del consenso informato stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Viene, inoltre, promossa e valorizzata la relazione tra paziente e medico, relazione in cui vengono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i famigliari o i conviventi e i partners dell’unione civile o ancora una persona di fiducia del paziente medesimo. Una novità, questa, che recepisce anche a livello normativo le esigenze derivanti dal mutato contesto sociale e familiare italiano.

La legge stabilisce che ogni persona ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo aggiornato e a lei comprensibile riguardo alle diagnosi alle prognosi ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

È importante sottolineare che, ai sensi della legge in commento, nella nozione di trattamento sanitario vengono per la prima volta ricomprese espressamente anche l’alimentazione e l’idratazione artificiale tramite dispositivo medico. Questa legge interviene, dunque, fermamente nel dibattito che aveva interessato i casi Englaro e Welby, in cui molti la posizione di molti tra coloro che si dicevano contrari a staccare i macchinari faceva leva sull’argomento per cui alimentazione artificiale non poteva considerarsi un trattamento sanitario.

Da ultimo, la nuova legge impone al medico di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciarvi e, in conseguenza di ciò, il medico viene esentato da ogni forma di responsabilità civile o penale.

Nelle situazioni di emergenza e di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

Questa legge marca il definitivo tramonto della concezione paternalistica del rapporto paziente- medico, che vedeva il paziente affidarsi quasi ciecamente alle cure e alle scelte del medico, e segna dunque il passaggio definitivo ad una relazione paritaria fondata sulla fiducia e sul consenso informato.

Nuove forme di protezione per gli orfani di crimini domestici

Lo scorso 16 febbraio 2018, sulla scia di un allarmante aumento di efferati omicidi in ambito familiare, è entrata in vigore la legge n. 4/2018 che ha introdotto diverse nuove disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici.

In primo luogo è stata introdotta la tutela legale gratuita da parte dello Stato, mediante l’estensione delle norme sul gratuito patrocinio in favore sia dei figli minori che di quelli maggiorenni non economicamente autosufficienti, che siano rimasti orfani di un genitore a seguito dell’omicidio commesso in danno dello stesso da parte del coniuge, ancorché separato o divorziato o dal convivente.  L’ammissione al gratuito patrocinio avviene anche in deroga ai limiti di reddito e si applica a tutti i procedimenti penali o civili derivanti dal reato, compresa l’esecuzione forzata.

Viene altresì modificato il codice di procedura penale affinché il giudice, ove si proceda per il reato di omicidio del genitore, rilevata la presenza di figli della vittima che siano minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti costituiti parte civile nel processo penale a carico del genitore o del convivente omicida, conceda loro, anche d’ufficio, una provvisionale pari al 50% del danno che si presume possa essere liquidato in sede civile.

Tra le altre misure in favore degli orfani di crimini domestici viene prevista un’assistenza gratuita di tipo medico-psicologico a cura del SSN, per tutto il tempo occorrente al pieno recupero del loro equilibrio psicologico, con l’esenzione dalla relativa spesa sanitaria e farmaceutica, nonché l’erogazione di borse di studio da parte del Fondo di Rotazione per la Solidarietà alla Vittime di Reati di tipo mafioso, ivi compresi altri finanziamenti per interventi di tipo formativo o di inserimento lavorativo.

Degno di nota è, infine, il diritto, degli orfani di chiedere il cambio del proprio cognome qualora esso coincida con quello del genitore condannato in via definitiva.

Mancato pagamento dell’assegno di divorzio o di separazione. Conseguenze sul piano penale

Lo scorso 6 aprile 2018 è entrato in vigore il nuovo articolo 570 bis c.p. riguardante la “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”.

Questa nuova figura di reato recepisce all’interno del codice penale quelle condotte delittuose che sino a prima erano sanzionate da specifiche disposizioni della legge sul divorzio (art. 12 sexies L. n. 898/70) e dalla legge sull’affido condiviso (art. 3 L n. 54/06), le quali sono state conseguentemente abrogate.

La nuova disposizione prevede l’applicabilità delle pene già previste dall’art. 570 c.p., ossia la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.  “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di divorzio/nullità del matrimonio ovvero che viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli..

La nuova figura di reato appronta, dunque, una tutela più ampia rispetto a quella originariamente prevista dall’art. 570 comma 2 c.p.

Se, tradizionalmente, infatti, il Codice Rocco puniva soltanto le condotte del coniuge che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori o inabili al lavoro o al coniuge non separato per colpa, il nuovo art. 570 bis c.p. ricollega, invece, la sanzione penale al mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno (di qualsiasi tipologia esso trattasi) stabilito in sede di divorzio o di separazione dal giudice civile in favore dei figli (non necessariamente minorenni, purché non autosufficienti) o dell’altro coniuge. Irrilevante, in quest’ultimo caso, lo stato di bisogno dell’avente diritto.

Come già a suo tempo precisato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle fattispecie abrogate, anche la nuova figura di reato può essere commessa soltanto nell’ambito delle coppie coniugate. Nell’ipotesi di violazione degli obblighi economici scaturenti dalle convivenze more uxorio è, invece, applicabile soltanto la meno ampia tutela di cui all’art. 570 comma 2 c.p. (v. Cass., Sez. VI, 6.4.2017, n. 25267)

La configurabilità del reato di affitto in nero agli stranieri clandestini è configurabile anche in assenza di un canone di affitto esorbitante o, comunque, superiore rispetto alla media di mercato

In questo interessante caso un uomo era stato condannato in primo grado alla pena di mesi sei di reclusione e alla confisca degli immobili in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 12 comma 5 bis. D.lgs n. 286/98 aver affittato a degli stranieri senza permesso di soggiorno due appartamenti di sua proprietà posti all’interno di uno stabile milanese. In particolare, ben sapendo di non poter affittare direttamente a degli inquilini privi di documenti di soggiorno, il soggetto aveva intestato i contratti ad altre persone, regolarmente soggiornanti in Italia, ed aveva indicato nei rispettivi contratti un canone d’affitto di Euro 850, importo inferiore rispetto a quello di Euro 1.500 effettivamente percepito dagli inquilini stranieri in questione. Detti contratti, poi, non erano stati registrati all’Agenzia delle Entrate.

In appello l’uomo veniva assolto in quanto, secondo la Corte d’Appello, non era stata raggiunta la prova del dolo specifico del reato, ossia la volontà di trarre profitto dalla condizione di clandestinità degli inquilini. In particolare, la Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto non esorbitante il canone di affitto richiesto dall’uomo, in quanto comprensivo anche delle spese condominiali. Allo stesso modo, nell’ottica della Corte territoriale, la presenza dei contratti scritti costituiva garanzia sufficiente per gli inquilini clandestini che avrebbero potuto agire in giudizio per riequilibrare le condizioni contrattuali. La decisione assolutoria veniva però impugnata dalla Procura Generale milanese.

Con la sentenza n. 32391/17 depositata lo scorso luglio, la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello rilevando come non sia affatto necessario, per la configurabilità del reato di cui all’art. 12 comma 5 bis D.lgs 286/98, che l’ingiusto profitto tratto dall’agente dalla condizione di clandestinità degli inquilini si traduca necessariamente in un canone di affitto superiore rispetto alla media di mercato, essendo sufficiente che l’illegalità delle condizione della persona straniera abbia reso possibile o anche soltanto agevolato la conclusione del contratto a condizioni oggettivamente più vantaggiose per la parte più forte ( si pensi anche solo all’evasione delle tasse resa possibile dalla mancata registrazione del contratto di locazione). La Cassazione ha, inoltre, ricordato che la presenza dei contratti scritti, peraltro intestati a soggetti di comodo, di per sé non tutelava in alcun modo gli inquilini stranieri in quanto, in assenza di contratto regolarmente registrato, non era possibile ottenere alcuna tutela in sede giudiziaria.

La sentenza in commento si colloca nel solco di una giurisprudenza che fa propria una lettura tutt’altro che restrittiva di una norma che sanziona, oltre che con pene detentive, anche con la confisca degli immobili chiunque  a titolo oneroso dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o anche solo del rinnovo del contratto di locazione.

Difendersi con il patrocinio a spese dello Stato

Il Patrocinio a Spese dello Stato (noto anche come gratuito patrocinio) nasce con lo scopo di assicurare alle persone meno abbienti l’accesso alla giustizia.

La persona ammessa al patrocinio gratuito, infatti, beneficia dell’assistenza legale di un solo difensore che verrà integralmente retribuito dallo Stato. Inoltre, la persona ammessa al gratuito patrocinio è dispensata dal pagamento di tasse o imposte per avviare una causa oppure resistervi, come pure è esentata dal pagamento di spese di notifica e diritti di copia.

Vediamo i dettagli.

  • Chi può richiederlo ?

Il cittadino italiano o straniero/apolide che sia accusato di un reato ovvero vittima di un reato che intenda costituirsi parte civile nel processo penale. L’ammissione è valida per tutti i gradi di giudizio. In ambito civile il patrocinio a spese dello stato può essere chiesto dalla persona che intende iniziare un giudizio ovvero resistere in un giudizio.

  • Quando si può richiedere?

Quando si ha un reddito familiare (cioè la somma dei redditi di tutti i componenti del nucleo), risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, inferiore a € 11.528,41. Nel solo processo penale è previsto l’aumento di tale soglia reddituale nella misura di € 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi. I conviventi more uxorio contano come familiari.

  • Ci sono categorie di soggetti esclusi? 

Si. Sono esclusi dal GP coloro che sono indagati per reati di evasione in materia di imposte. Sono altresì esclusi i condannati con sentenza definitiva per reati di associazione mafiosa e connessi al traffico di tabacchi e a agli stupefacenti. Inoltre, l’ammissione al patrocinio a spese dello stato decade nel momento in cui il beneficiario nomina un secondo avvocato in aggiunta a quello precedentemente nominato.

  • Ci sono disposizioni a favore di donne maltrattate o minori?

Si. L’art. 76 comma 4 ter DPR 115/2002 prevede che le vittime dei reati concernenti i maltrattamenti in famiglia, la violenza o lo sfruttamento sessuale, le pratiche di mutilazione genitale femminile, la pornografia infantile e lo stalking possano essere ammesse al beneficio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge. In altri termini, ove richiesto, lo Stato assume integralmente i costi della difesa in giudizio delle vittime di tali reati.

  • Mi hanno assegnato un difensore d’ufficio. E’ gratuito?

No. Difensore d’ufficio e patrocinio a spese dello Stato sono due cose diverse. È, tuttavia, sempre possibile verificare che il difensore d’ufficio sia abilitato a difendere con il gratuito patrocinio

  • Quali sono i documenti necessari?

Carta di identità, codice fiscale di tutti i componenti del nucleo familiare, ultima dichiarazione dei redditi dei componenti del nucleo (in mancanza autocertificazione del reddito). Gli stranieri dovranno altresì corredare la domanda di ammissione con una dichiarazione rilasciata dal Consolato del Paese di appartenenza attestante il mancato possesso di redditi all’estero.

  • A chi va presentata la domanda?

Nel penale la domanda viene indirizzata al giudice procedente. Nel civile la domanda va indirizzata alla Commissione Patrocinio a Spese dello Stato dell’Ordine degli Avvocati.  Nella prassi è spesso l’avvocato prescelto dal cliente che si occupa di presentare le istanze con la relativa documentazione.

Riforma del processo penale: rafforzati i diritti delle vittime di reato

Un’altra novità interessante introdotta dalla riforma del processo penale entrata in vigore lo scorso 3 agosto 2017 è il rafforzamento dei diritti della persona offesa dal reato, tradizionalmente vista come una parte meramente eventuale del processo penale.

Innanzitutto il nuovo art. 335 comma 3 ter c.p.p. prevede la possibilità, decorsi sei mesi dalla presentazione della denuncia, che la persona offesa dal reato possa chiedere di essere informata in merito allo stato del procedimento.

In secondo luogo, in caso di richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, il termine per la visione degli atti e la presentazione dell’opposizione ai sensi dell’art. 408 comma 3 c.p.p. passa da 10 giorni a 20 giorni. Termine elevato fino a 30 giorni in caso di richiesta di archiviazione di delitti commessi con violenza alla persona e per i reati di furto in abitazione e furto con strappo.

Sempre in ottica di un rafforzamento dei diritti delle vittime di reato va, infine, ricordata la modifica della disciplina della prescrizione relativa ai delitti di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, delitti di pornografia infantile, tratta di persone e stalking se commessi in danno di una persona minorenne. In tali casi, il termine di prescrizione dei reati decorre dal compimento della maggiore età della persona offesa, salvo che l’azione penale sia stata esercitata precedentemente.