La Cassazione penale sulla remissione tacita della querela in caso di mancata comparizione, senza giustificato motivo, del querelante all’udienza alla quale era stato citato come testimone

La sentenza n. 33648/23 del 31.07.2023 della Corte di Cassazione è tornata sul tema della remissione tacita della querela nell’ipotesi di “facta concludentia” del querelante incompatibili con la volontà di persistere nella querela.

Notoriamente la riforma Cartabia (D.lgs 150/22) ha ampliato le ipotesi di remissione tacita della querela previste dall’art. 152 c.p., aggiungendovi anche quella della mancata comparizione del querelante, senza giustificato motivo, all’udienza a cui era stato regolarmente citato per deporre come testimone. Disposizione questa che, per espressa volontà legislativa, non si applica nell’ipotesi in cui il querelante sia persona incapace per ragioni, anche sopravvenute, di età o di infermità o sia persona particolarmente vulnerabile nell’ottica dell’art. 90 quater c.p.p.

La disposizione, inoltre, non si applica neppure se la persona che ha proposto la querela ha agito in qualità di rappresentante di un incapace ovvero di curatore speciale del minore.

La Corte di Cassazione ha chiarito che, al di là delle ipotesi espressamente tipizzate dalla legge, spetta comunque al giudice il compito di accertare, caso per caso e senza alcun automatismo, la sussistenza o meno del giustificato motivo richiesto dall’art. 152 c.p., specie nei casi in cui emergano circostanze da cui poter fondatamente desumere la sussistenza di violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o, comunque un’illecita interferenza.

Solo all’esito di un simile doveroso controllo l’eventuale assenza del querelante potrà essere interpretata come fatto incompatibile con la volontà di voler insistere per la punizione del colpevole e potrà, quindi, essere dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale ai sensi dell’art. 152 c.p.  

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di atti abnormi

Il caso trae origine dal decesso avvenuto nel 2016 di un giovanissimo motociclista romano che, mentre percorreva la SS Colombo perdeva improvvisamente il controllo del mezzo e veniva sbalzato contro un albero. Una morte, quella del giovane, che ha suscitato numerosi interrogativi circa la sicurezza e la manutenzione di una strada tristemente nota a livello locale per l’elevato numero di incidenti.
La Procura della Repubblica di Roma, dopo aver inizialmente aperto un fascicolo a carico di ignoti ipotizzando il reato di omicidio colposo, chiese l’archiviazione. Il GIP, dal canto suo, respingeva la richiesta invitando il pubblico ministero “ad individuare i responsabili della manutenzione ordinaria e straordinaria” della strada e ad “esercitare l’azione penale per l’ipotesi di omicidio colposo”.
Contro questa ordinanza ricorreva per Cassazione la Procura di Roma, lamentando l’abnormità dell’atto e l’ingerenza, da parte del GIP, delle prerogative del pubblico ministero in tema di esercizio dell’azione penale.
Con sentenza 18758/22 la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura evidenziando come il giudice delle indagini preliminari non possa in alcun modo surrogarsi all’organo d’accusa, cui è rimessa ogni valutazione e decisione in ordine al tempo e al modo di svolgimento delle indagini.
La sentenza merita in ogni caso di essere segnalata in quanto contiene una interessante ricognizione dei cd. “atti abnormi” commessi dai GIP. Notoriamente gli “atti abnormi” sono quelli che, pur non presentando vizi di legittimità riconducibili a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., presentano comunque anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema
processuale e con esso radicalmente incompatibili.

La responsabilità del medico del pronto soccorso sussiste anche a seguito di cambio turno senza passaggio di consegne formale

Secondo costante giurisprudenza il medico del pronto soccorso è titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti. Ciò sta a significare che egli deve attivarsi per informarsi sulle condizioni di salute dei pazienti che ha in carico e delle cure che necessitano o quantomeno a consultare la cartella clinica, anche nell’ipotesi in cui sia avvenuto un cambio turno senza passaggio formale di consegne tra medici.

È quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 44622/2017 del 27.09.2017 che ha confermato la condanna per omicidio colposo di una dottoressa del pronto soccorso in un caso riguardante il decesso di un uomo per shock emorragico dovuto all’ingestione durante il pasto di un osso di pollo.

Dal processo era, infatti, emerso che l’uomo aveva fatto ingresso al pronto soccorso lamentando un forte dolore allo sterno a seguito del pasto ed aveva informato i medici che durante il pranzo aveva ingerito un osso di pollo. Le linee guida prevedono in tali casi che il paziente venga sottoposto prima a una radiografia del torace e ad una radiografia dell’addome e, successivamente, ad un esame endoscopico onde rilevare la presenza del corpo estraneo.

Il paziente veniva inizialmente sottoposto alle radiografie previste dalle linee guida da parte dei medici che lo avevano preso in carico, le quali davano esito negativo. Successivamente, un’altra dottoressa, subentrata nel turno della mezzanotte, dimetteva il paziente refertando un “dolore toracico atipico”, raccomandandogli di far controllare la pressione arteriosa ed omettendo, tuttavia, di sottoporlo ad esame endoscopico.

Il paziente moriva dopo 5 giorni a causa dello shock emorragico provocato dalla fistolarizzazione dell’aorta e del conseguente shock emorragico provocato dall’osso di pollo precedentemente ingerito.

La disciplina del consenso informato nella nuova legge sul testamento biologico

Lo scorso dicembre è entrata in vigore la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, meglio nota come legge sul testamento biologico.

Con tale legge viene assicurata una tutela ampia del consenso informato stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Viene, inoltre, promossa e valorizzata la relazione tra paziente e medico, relazione in cui vengono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i famigliari o i conviventi e i partners dell’unione civile o ancora una persona di fiducia del paziente medesimo. Una novità, questa, che recepisce anche a livello normativo le esigenze derivanti dal mutato contesto sociale e familiare italiano.

La legge stabilisce che ogni persona ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo aggiornato e a lei comprensibile riguardo alle diagnosi alle prognosi ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

È importante sottolineare che, ai sensi della legge in commento, nella nozione di trattamento sanitario vengono per la prima volta ricomprese espressamente anche l’alimentazione e l’idratazione artificiale tramite dispositivo medico. Questa legge interviene, dunque, fermamente nel dibattito che aveva interessato i casi Englaro e Welby, in cui molti la posizione di molti tra coloro che si dicevano contrari a staccare i macchinari faceva leva sull’argomento per cui alimentazione artificiale non poteva considerarsi un trattamento sanitario.

Da ultimo, la nuova legge impone al medico di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciarvi e, in conseguenza di ciò, il medico viene esentato da ogni forma di responsabilità civile o penale.

Nelle situazioni di emergenza e di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

Questa legge marca il definitivo tramonto della concezione paternalistica del rapporto paziente- medico, che vedeva il paziente affidarsi quasi ciecamente alle cure e alle scelte del medico, e segna dunque il passaggio definitivo ad una relazione paritaria fondata sulla fiducia e sul consenso informato.

Nuove forme di protezione per gli orfani di crimini domestici

Lo scorso 16 febbraio 2018, sulla scia di un allarmante aumento di efferati omicidi in ambito familiare, è entrata in vigore la legge n. 4/2018 che ha introdotto diverse nuove disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici.

In primo luogo è stata introdotta la tutela legale gratuita da parte dello Stato, mediante l’estensione delle norme sul gratuito patrocinio in favore sia dei figli minori che di quelli maggiorenni non economicamente autosufficienti, che siano rimasti orfani di un genitore a seguito dell’omicidio commesso in danno dello stesso da parte del coniuge, ancorché separato o divorziato o dal convivente.  L’ammissione al gratuito patrocinio avviene anche in deroga ai limiti di reddito e si applica a tutti i procedimenti penali o civili derivanti dal reato, compresa l’esecuzione forzata.

Viene altresì modificato il codice di procedura penale affinché il giudice, ove si proceda per il reato di omicidio del genitore, rilevata la presenza di figli della vittima che siano minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti costituiti parte civile nel processo penale a carico del genitore o del convivente omicida, conceda loro, anche d’ufficio, una provvisionale pari al 50% del danno che si presume possa essere liquidato in sede civile.

Tra le altre misure in favore degli orfani di crimini domestici viene prevista un’assistenza gratuita di tipo medico-psicologico a cura del SSN, per tutto il tempo occorrente al pieno recupero del loro equilibrio psicologico, con l’esenzione dalla relativa spesa sanitaria e farmaceutica, nonché l’erogazione di borse di studio da parte del Fondo di Rotazione per la Solidarietà alla Vittime di Reati di tipo mafioso, ivi compresi altri finanziamenti per interventi di tipo formativo o di inserimento lavorativo.

Degno di nota è, infine, il diritto, degli orfani di chiedere il cambio del proprio cognome qualora esso coincida con quello del genitore condannato in via definitiva.

Mancato pagamento dell’assegno di divorzio o di separazione. Conseguenze sul piano penale

Lo scorso 6 aprile 2018 è entrato in vigore il nuovo articolo 570 bis c.p. riguardante la “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”.

Questa nuova figura di reato recepisce all’interno del codice penale quelle condotte delittuose che sino a prima erano sanzionate da specifiche disposizioni della legge sul divorzio (art. 12 sexies L. n. 898/70) e dalla legge sull’affido condiviso (art. 3 L n. 54/06), le quali sono state conseguentemente abrogate.

La nuova disposizione prevede l’applicabilità delle pene già previste dall’art. 570 c.p., ossia la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.  “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di divorzio/nullità del matrimonio ovvero che viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli..

La nuova figura di reato appronta, dunque, una tutela più ampia rispetto a quella originariamente prevista dall’art. 570 comma 2 c.p.

Se, tradizionalmente, infatti, il Codice Rocco puniva soltanto le condotte del coniuge che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori o inabili al lavoro o al coniuge non separato per colpa, il nuovo art. 570 bis c.p. ricollega, invece, la sanzione penale al mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno (di qualsiasi tipologia esso trattasi) stabilito in sede di divorzio o di separazione dal giudice civile in favore dei figli (non necessariamente minorenni, purché non autosufficienti) o dell’altro coniuge. Irrilevante, in quest’ultimo caso, lo stato di bisogno dell’avente diritto.

Come già a suo tempo precisato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle fattispecie abrogate, anche la nuova figura di reato può essere commessa soltanto nell’ambito delle coppie coniugate. Nell’ipotesi di violazione degli obblighi economici scaturenti dalle convivenze more uxorio è, invece, applicabile soltanto la meno ampia tutela di cui all’art. 570 comma 2 c.p. (v. Cass., Sez. VI, 6.4.2017, n. 25267)

Riforma del processo penale: rafforzati i diritti delle vittime di reato

Un’altra novità interessante introdotta dalla riforma del processo penale entrata in vigore lo scorso 3 agosto 2017 è il rafforzamento dei diritti della persona offesa dal reato, tradizionalmente vista come una parte meramente eventuale del processo penale.

Innanzitutto il nuovo art. 335 comma 3 ter c.p.p. prevede la possibilità, decorsi sei mesi dalla presentazione della denuncia, che la persona offesa dal reato possa chiedere di essere informata in merito allo stato del procedimento.

In secondo luogo, in caso di richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, il termine per la visione degli atti e la presentazione dell’opposizione ai sensi dell’art. 408 comma 3 c.p.p. passa da 10 giorni a 20 giorni. Termine elevato fino a 30 giorni in caso di richiesta di archiviazione di delitti commessi con violenza alla persona e per i reati di furto in abitazione e furto con strappo.

Sempre in ottica di un rafforzamento dei diritti delle vittime di reato va, infine, ricordata la modifica della disciplina della prescrizione relativa ai delitti di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, delitti di pornografia infantile, tratta di persone e stalking se commessi in danno di una persona minorenne. In tali casi, il termine di prescrizione dei reati decorre dal compimento della maggiore età della persona offesa, salvo che l’azione penale sia stata esercitata precedentemente.