Con sentenza del 30.03.2023 resa nel caso J.A. e altri c. Italia (ric. n. 21329/18), la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha affermato che vi è stata violazione dell’art. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), art. 5 (diritto alla libertà e sicurezza) della CEDU e art 4 del Protocollo n. 4 allegato alla CEDU (divieto di espulsione collettiva degli stranieri) da parte dello Stato italiano nei confronti di cittadini tunisini che erano stati salvati da una nave nel Mar Mediterraneo ed erano stati trattenuti per dieci giorni presso l’ “hotspot” di Contrada Imbriacola, sull’isola di Lampedusa.
Sulla violazione dell’art. 3 la Corte ha ricordato che il divieto di trattamenti inumani o degradanti di cui all’art. 3 CEDU ha valore assoluto e non può essere ignorato neppure per via delle maggiori difficoltà derivanti dall’accresciuto afflusso di migranti e richiedenti asilo. Fatta tale premessa la Corte ha rilevato che il Governo italiano non aveva prodotto elementi sufficienti a dimostrare che le condizioni dell’“hotspot” di Lampedusa fossero accettabili e, di conseguenza, ha ritenuto che i ricorrenti erano stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
Con riferimento alla violazione dell’art. 5, la Corte ha affermato che i ricorrenti erano stati trattenuti all’interno dell’hotspot per dieci giorni in una condizione di “detenzione de facto”, senza una base giuridica chiara e senza fornire ai ricorrenti informazioni sufficienti per contestare il loro stato di detenzione dinanzi ad un Tribunale.
Quanto invece alla violazione dell’art. 4 del Protocollo 4 la Corte Edu ha, infine, evidenziato come le singole posizioni dei ricorrenti non siano state valutate in modo individuale prima dell’adozione dei provvedimenti di respingimento da parte delle autorità che, in tal modo, aveva dato luogo ad una forma di espulsione collettiva vietata dalla Convenzione.